Arcangelo Izzo
Giovenale per Vlado Gotovac
Gli storici lo ricordano come statista e uomo politico che si è battuto per la libertà e la democrazia, contro ogni forma di demagogia e contro ogni progetto di ritorno al regime autocratico; per il suo liberalismo subì pene immeritate e persino il carcere; gli amici rimpiangono, con la sua scomparsa, la perdita di un modello di vita caratterizzata da irreprensibile digni¬tà e virtù, da solidarietà umana e luminosità religio¬sa; i critici della letteratura e del pensiero filosofico
lo collocano ai primi posti nell’ambito della poesia e dell’estetica.
Amò moltissimo l’Italia e soprattutto Roma, egli che, nato in Croazia nel 1930, si spense proprio nella Città eterna nell’anno 2000.
La moglie Simona, che non perde nessuna occasione per rinnovare il ricordo del marito attraverso le forme più belle della poesia e dell’arte, ha affidato a Giovenale, artista beneventano, una raccolta di versi, definibili “frammenti di un discorso amoroso”, secondo Barthes, o “lampi di luce”, secondo lo stesso Giovenale.
Si tratta di nove tavole, bipartite secondo il principio dell’incontro e del rapporto tra scrittura poetica e figure del linguaggio cromatico.
Questa disposizione duplicante, che sembra lasciare invariabile la distanza tra la parola e l’immagine, tra poesia, che è ritmo, e la pittura, che è tono, ripropone la prossimità del rapporto reale tra l’espansione della parola e l’intensità dell’eidos, cioè dell’immagine pla-stica; la pittura quindi va verso la verità come la poe¬sia (pictura ut poesis). Separatamente o raccordate per contiguità queste due essenze, in se stesse cantici e salmi, immagini e nuova iconografia, non ci danno l’o¬pera d’arte reale, ma ci consegnano l’ideale di essa. L’intenzione del poeta e del pittore non è rivolta tanto ad un contenuto determinato quanto piuttosto alla pura lingua.
Nell’interscambio l’accento si sposta dal significato alla lingua stessa che non fa tutt’uno con esso, ma lo avvolge “come un mantello reale ad ampie pieghe”, o da esso è sfiorato solo “come il punto dalla tangente” o come “un’arpa eolica, dal vento”.
Così, sin dalla prima tavola la poesia allude all’invi- sibilità della pittura e l’icona suggerisce la sensazio¬ne che sia stato restituito, nell’immagine, lo sguardo ad esso rivolto dall’artista.
E’ così che timbro e tono si alternano per tutte le nove tavole del libro, inconciliabili testimonianze “dell’insoste¬nibile leggerezza dell’essere” (Io sopporto quel che posso / il resto lo lascio agli angeli / essi si addossano l’impossi¬bile / silenzi sovrumani...”) dice il poeta mentre gli ange¬
per il pittore si vestono del colore della Speranza e indossano la luce della Fede, che è superamento dell’an¬goscia, promessa di Carità, di approdo rasserenante dopo la tempesta (0 raffinatezza che trasformi / la mia fine in solennità). Pertanto si può dire che nelle singole parti¬ture delle tavole si esprima il desiderio dell’“ordo amo- ris” che è “il risultato della libertà umana e dell’obbe¬dienza a un comandamento divino”.
Illuminando il passaggio degli uomini attraverso le ango¬sce di questo mondo - “spremuto come in un frantoio” dalla macina della fame, della guerra, della morte — li guida verso il Paradiso, dove il desiderio potrà final¬mente placarsi senza spegnersi e ognuno, rimossa l’o¬pacità della carne, conoscerà finalmente se stesso e godrà in Dio, assieme ai propri cari ritrovati, della vera comunità” (Remo Bodei); poiché “dalla terra non si può / pretendere che si più bella, / ma all’uomo si può chiedere / di essere più dignitoso”, come sostiene ancora Gotovac, mentre Giovenale inarca sotto i colori di un latente, ma esistente arcobaleno, le figure della tolleranza, del sodalizio e dell’amore.
Arcangelo Izzo