Arcangelo Izzo
Giovenale, lo spazio «eccentrico»
Rivedendo i disegni e i lavori pittorici di Giovenale, mi ritornava alla mente una riflessione che Lacan aveva fatto negli ultimi tempi sull’intreccio tra Realtà, Immaginario e Simbolico, inscrivendo il fenomeno sotto l’immagine di nodo Borromeo.
Il disegno infatti di Giovenale è espressione di una realtà interiore, ma è anche disciplina formale, una coreografia che invade tutto lo spazio ed è continua sintesi di movimenti come avviene nelle pitture antiche degli egiziani o degli atzechi o nelle figure attuali dei fumetti disegnati da Walt Disney.
E, questo disegno, è alla base della sua pittura che non diventa mai simbolista, ma è simbolica in quanto ignora le fonti letterarie dell’ispirazione e mira piuttosto a comunicare lo choc psichico, motivato in lui sempre da ragioni plastiche.
Pertanto l’immaginario interviene ad animare un’iconografia dell’occasionale, del comune ed anche del banale, intrisa di calde memorie e di colore polisemico, mobile e contrattile come l’iride dell’occhio, iridato e diffuso come il colore dell’arcobaleno.
Perciò si può parlare di un colore atmosferico, che invade lo spazio e si trasferisce negli e sugli oggetti, diventando pittura ambientale per le diverse operazioni anche artigianali e del dipingere come avviene in Capoletto o capo-dl-lavoro, che rimanda per altro ad un campo libero da progetti vincolanti e al mondo infantile, anche se irrecuperabile, ricco di sensi e simboli profondi, o del profondo.
La messa in opera di elementi naturali in misteriosa ed all armante simbiosi con l’ambiente, che li genera con semplicità per noi enigmatica, la mistica luce diffusa, la fantasia pressoché indecifrabile delle immagini rendono irreali ed emozionanti i lavori di Giovenale, che assegna all’impianto geometrico della superficie la significazione dello spazio «eccentrico».
Per Giovenale, infatti, lo spazio, soprattutto quello del quadro, non è, e non può essere, il luogo della stravaganza e dell’arbitrio, ove l’immaginario accampi la pretesa dell’«assoluto», ma deve considerarsi la specula dell’immagine imponderale, senza peso, che la lente ottica capovolge e il pensiero sospende o fa ruotare come eidolon mundi; o come osservatorio della coscienza che, sempre sulla «soglia», scopre il rapporto tra l’esperienza soggettiva e l’oggetto, e quello tra l’apparire di un oggetto costituito da operazioni soggettive.
A sostegno della ponderalità delle figure del linguaggio e dell’imponderabilità fisica delle immagini, ecco una serie di quadri sospesi nello spazio del quadro a filamenti senza origini, verso direzioni decentrate, disobbedienti agli equilibri delle masse o al calcolo preciso dei volumi, né tanto meno obbedienti alla misurazione delle cubature del cemento, intorno al quale dibattono i politici per i loro preliminari del programma urbanistico. Invece «Il peso della vita», corre lungo «Preghiera» ad inseguire «Nella memoria» l’insostenibile leggerezza dell’essere, che sono, insieme ad altri, tutti disegni su carta, diventati poi opere pittoriche.
E c'è soprattutto uno di questi disegni del 1989 che «Dall’infinito» fa discendere, attraverso la verticalità di forme gotiche, interrotte o completate da architetture e volumi geometrici, il suono pesante del «verbo», della parola, all'immagine immensamente sottile della creatura «religiosa» orante.
A chi ha pensato all'infinito, diventa poi possibile superare il limite che toglie allo sguardo tanta parte dell'ultimo orizzonte, scoprendo con meraviglia la bellezza al di là del reale, e fingendo (cioè scolpendo) nell'immaginario l’ideale.
Contemporaneamente però lo sguardo ritrova nel particolare ravvicinato il senso, il simbolo e la linfa dell’«essere» che può e deve circolare come mezzo di comunicazione, di scambio e, per Giovenale, anche di fede. Così le cose, che sono della terra, e i fenomeni, che avvengono in cielo, appartengono allo stesso ordine per effetto dell’investimento sentimentale, razionale e infantile.
Alla fine il nodo stringe e promette di stringere ancora il reale, l’immaginario e il simbolico delle barche sospese e dei fiori divergenti, le figure troppo grandi o le immagini troppo piccole dei lavori di Giovenale.
Arcangelo Izzo
Critico d’arte e giornalista